Oggi diamo voce a Francesca, che ci racconta la sua esperienza con la demenza e le prime fasi della diagnosi della malattia del suo papà. Ringraziamo Francesca per la sensibilità dimostrata nel condividere ciò che ha vissuto con chiunque si trovi a leggere questo articolo. Siamo certi che l’esperienza di una figlia possa essere di supporto e di conforto per chi si trova ad affrontare una diagnosi di demenza di un proprio caro. Un ringraziamento speciale anche per le parole spese nei nostri confronti: poter contribuire alla serenità delle famiglie durante momenti così delicati è ciò che ci rende più orgogliosi del nostro lavoro.
La demenza cognitiva del mio papà: ecco la nostra storia!
Accorgersi della demenza cognitiva del mio papà non è stato facile. I segnali sono arrivati lentamente, in modo quasi impercettibile. Le sue dimenticanze quotidiane, inizialmente sporadiche, erano da noi associate al recente pensionamento e al conseguente cambio di stile di vita — da molto frenetico a decisamente più tranquillo. Ma col tempo sono diventate sempre più frequenti, e io, mia mamma e i miei fratelli abbiamo cominciato a preoccuparci seriamente.
Il medico di base: il punto di partenza
Abbiamo deciso di rivolgerci al medico di famiglia che segue entrambi i miei genitori. Dopo aver ascoltato i nostri racconti, ci ha prescritto una prima visita neurologica per cercare di capire meglio la possibile tipologia di demenza e valutare le terapie più adatte da intraprendere.
I passaggi successivi e i professionisti coinvolti
Alla visita neurologica, papà era molto nervoso e spaventato. La nostra presenza è stata fondamentale: io stessa ho capito che da quel momento in poi, amore e vicinanza sarebbero stati indispensabili.
Il neurologo, dopo un’attenta valutazione, ci ha confermato che qualcosa non andava. Ci ha spiegato che nei casi come questo, due sono le figure specialistiche con cui collabora: il geriatra e il neuropsicologo. Ci ha quindi indirizzati verso un Centro per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (CDCD), dove papà è stato sottoposto a diversi esami, tra cui TAC, risonanza magnetica, analisi del sangue… tutti utili per individuare la terapia farmacologica più adeguata.
Ma in quel contesto ci si è letteralmente aperto un mondo. Oltre alla terapia farmacologica prescritta dal geriatra, grazie al neuropsicologo abbiamo scoperto una serie di attività che rientrano nella stimolazione cognitiva.
L’importanza della stimolazione cognitiva anche per i familiari
È stato proprio il neuropsicologo a parlarci dell’importanza della stimolazione cognitiva, spiegandoci quanto sia più efficace se condivisa con i familiari, sia in studio che a casa. Per noi è stato un sollievo: ci siamo sentiti di nuovo uniti, come sempre siamo stati.
Questo improvviso “fulmine a ciel sereno” è stato difficile da accettare. Inizialmente abbiamo provato smarrimento e paura: immaginare che nulla sarebbe stato più come prima ci toglieva il fiato. Poi sono arrivati rabbia e preoccupazione… ma alla fine abbiamo reagito unendoci ancora di più. Capire che potevamo affrontare tutto insieme, come una squadra, ci ha dato forza.
Durante i colloqui, il medico ha sottoposto papà a test specifici per stimolare memoria, attenzione, linguaggio, funzioni esecutive. Ci ha spiegato come funziona il percorso, basato sul principio della plasticità mentale, ovvero la capacità del cervello di adattarsi e riorganizzarsi in risposta a nuovi stimoli ed esperienze (La Stimolazione Cognitiva).
Gli obiettivi della stimolazione cognitiva
Il medico ci ha riassunto così gli obiettivi di questa terapia:
- Recuperare le funzioni cognitive compromesse
- Migliorare la qualità della vita e l’autonomia
- Gestire i disturbi comportamentali
- Favorire un miglioramento dell’umore
- Mantenere il più a lungo possibile le abilità residue
Un percorso condiviso che ha fatto bene a tutti
Infine, ci è stato indicato un Centro a Rivoli, in provincia di Torino, pronto ad accoglierci per iniziare questo meraviglioso percorso. Un cammino che ha portato benefici non solo a papà, ma anche a tutti noi.
Perché la demenza non è difficile solo per chi la vive in prima persona, ma anche, e soprattutto, per chi sta accanto, per i familiari che ogni giorno vedono “scomparire” un pezzetto della persona che amano e che spesso non sanno dove trovare il giusto supporto.
Condivido questa esperienza per tutte quelle famiglie che, come la nostra all’inizio, stanno cercando il percorso giusto da intraprendere.